Anche l'Inghilterra, così come avviene in Italia, ha le maniche rimboccate per riportare il pubblico nelle piscine e nei centri sportivi, con l'affluenza del ‘prima’, cioè del pre-pandemia, quando la parola ‘assembramento’ non veniva mai utilizzata, e certo non per descrivere una normale giornata di corsi di nuoto in un impianto acquatico. A tratteggiare la situazione inglese è David Minton, fondatore del The Leisure Database Company, che ha pubblicato un report che descrive lo stato dell'arte del settore nel Regno Unito.
“Non c’è dubbio che il Covid-19 abbia avuto un impatto drammatico anche per l'industria britannica del nuoto – spiega Minton –. Da aprile 2019 a oggi, 192 impianti acquatici hanno chiuso contro gli appena 65 che hanno aperto. In questi tre anni, poi, fino alla fine di marzo 2022 si è registrato un calo pari al -5,1% nel numero di impianti natatori. Il settore pubblico ha visto una minore percentuale di perdite rispetto al privato ma la strada da percorrere è ancora lunga per tornare ai livelli pre-pandemia”.
Per citare qualche dato, per quanto concerne il settore privato, a oggi i centri aperti con piscina sono 1.344 contro i 1.468 del 2019 e il numero di piscine è sceso da 1.801 a 1.672. In tre anni, i club sono calati dell’8,4% e le piscine del 7,2%. Per quanto concerne il pubblico, invece, si registra un -2,2% nel numero dei centri acquatici e un -1,6% per quanto concerne il totale di piscine. Oggi si contano 1.664 centri pubblici con piscine (in calo dalle 1.702 nel 2019) e tra questi il numero totale di piscine-impianti è diminuito da 2.758 a 2.714. Ma anche in questo caso la tendenza è da invertire, e in fretta: il nuoto è sport, benessere, ma anche uno strumento per la tutela della salute dei cittadini e delle intere comunità.
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